Americana

All’inizio degli anni Novanta un fronte di giovani musicisti americani cominciò a reinvestire sulla musica acustica, recuperando cose del folk e del country ma anche dalla tradizione del rock dylaniano. Molta chitarra, via tutte le cose pulitine e sintetiche: un genere che era sempre esistito, solo che ricominciavano a farlo i giovani. Li misero nel calderone della categoria “alternative”, o “independent” (perché crescevano nelle etichette indipendenti piuttosto che nelle majors della discografia), e poi trovarono una loro definizione, anzi due: “alt-country”, o “americana”.

Blue | The Jayhawks
(Tomorrow the green grass, 1995)
La cosa migliore di Louris e Olson non sono tanto le canzoni che scrivevano assieme, o come le suonavano assieme: è come le cantano, assieme, con le due voci appiccicate una sopra all’altra: “Ho sempre pensato di essere qualcuno: viene fuori che mi sbagliavo”. Gran canzonetta, che mette allegri, malgrado lui sia un po’ abbattuto, “sobluuuuue!”.

Slate | Uncle Tupelo
(Anodyne, 1993)
Gli Uncle Tupelo sono considerati i veri iniziatori della musica “alternative”, e della conciliazione moderna tra il country e il rock. Il titolo del loro primo disco – No depression – diede il nome alla maggiore rivista dedicata al genere “americana”. I fondatori Jay Farrar e Jeff Tweedy sono due nomi di culto tra i fans del genere: il primo ha poi animato i Son Volt e il secondo i Wilco. “Slate” apriva il loro ultimo disco, Anodyne.

Jesus etc. | Wilco
(Yankee Hotel Foxtrot, 2002)
Quando i Wilco ebbero finito Yankee Hotel Foxtrot, la loro casa discografica lo giudicò invendibile. Passò un po’ di tempo, e le canzoni circolarono su internet con crescente successo, tanto che loro stessi decisero di consentirne l’ascolto sul loro sito. Pubblicato da un’etichetta minore, il disco esordì al tredicesimo posto delle classifiche americane. “Jesus etc.” cerca di consolare Gesù e tenerlo di buonumore, con riferimenti così vistosi al crollo delle torri gemelle che è difficile credere alla versione ufficiale per cui il disco sarebbe stato completato prima.

Come pick me up | Ryan Adams
(Heartbreaker, 2000)
Vorrei, vorrei
Che mi venissi a prendere
Mi portassi fuori
Mi scopassi
Rubassi i miei dischi
Mandassi affanculo i miei amici
Sono tutti stronzi
E col sorriso in faccia
Lo rifacessi di nuovo
La voce accanto è di Gillian Welch. “Come pick me up” fu usata nella egregia colonna sonora di Elizabethtown.

Runaway trains | Tom Petty
(Let me up (I’ve had enough), 1987)
Lui se n’è andato e l’ha lasciata da sola. Adesso spera di dimenticarsela. Lei gli ha detto che lo capiva, che è abituata a restar sola, e che è molto più forte di quello che lui pensi. Insomma, viene un sospetto, su chi abbia aperto la porta, dei due.

Woody | Hayden
(Elk Lake serenade, 2004)
Hayden è canadese, e l’hanno quindi paragonato a Neil Young. Nel suo disco più tranquillo, Elk Lake serenade, c’era la breve “Woody”, una specie di ninna nanna dedicata al suo gatto.

Come back home | Pete Yorn
(Day I forgot, 2003)
Ottimo il trucco di preparare all’entrata rock con un’introduzione acustica di chiacchiere e prove di studio... Tarara rarara ra-ra!

The greatest | Cat Power
(The greatest, 2006)
Il nome vero è Chan Marshall ed è una cantautrice della Georgia. Nel 2005 registrò un disco a Memphis, con voglie soul. Si chiama The greatest, come la canzone più bella, che parla di ridimensionare le proprie presunzioni.

Feel like going home | Walkabouts
(Satisfied mind, 1993)
I Walkabouts vengono da Seattle e sono in giro ormai da più di vent’anni, a raccogliere tracce dei generi classici americani e metterle assieme. Nel 1993 fecero un disco di cover acustiche, tra cui “Feel like going home” di Charlie Rich, amato cantante country dell’Arizona: la tirano a durare più di otto minuti in un crescendo di chitarre.

To cry about | Mary Margaret O’Hara
Canadese, genio e sregolatezza, è conosciuta da pochissimi e lo stesso idolatrata, malgrado abbia inciso pochissimo e un solo vero album, Miss America. Ha una voce da pazzi: un altro capolavoro nello stesso disco è “Body’s in trouble”.
(Miss America, 1988)

The latest toughs | Okkervil River
(Black sheep boy, 2005)
Bel pezzaccio eccitato di una band di Austin, fantasiosa e dai testi tormentati, che prende il nome da un fiume di San Pietroburgo, affluente di un affluente della Neva. Bisognerebbe sentirglielo suonare dal vivo, cantando forte le parole tutti quanti.

The day Texas sank to the bottom of the sea | Micah P. Hinson
(Micah P. Hinson and the gospel of progress, 2004)
“Ho aspettato molto quassù sugli alberi, cercando di impiccarmi con il pensiero di te”. Andamento lento, istruito da una chitarra inesorabile, e tristissima storia di otto minuti di lei che non lo vuole e lui progetta un suicidio messo a repentaglio dal rischio che nessuno se ne accorga. Violino e chitarra, bastanti. Cosa c’entri il titolo non si sa, ma non è niente male neanche quello.

A long december | Counting Crows
(Recovering the satellites, 1996)
«A metà dicembre del ’95 la mia amica Jennifer fu investita da una macchina, spappolata; e io passai tutto il mese e la maggior parte dei successivi in ospedale, mentre cominciavamo a registrare il di- sco» racconta Adam Duritz. La migliore delle ballate Counting Crows. Pianoforte e nana-nana. E una sensazione familiare di quei brutti periodi che dovranno pur passare, si tratti di ospedali o altro.

El Paso/Out on the weekend | Giant Sand
(Cover magazine, 2002)
Howe Gelb è un altro mito dell’ambiente, pianista e cantautore capace di molte incarnazioni e ardimenti. Lo paragonano spesso a Neil Young e lui ha rifatto devotamente “Out on the weekend” e “Like a hurricane”. I Giant Sand sono la sua band, di formazione assai variabile.

Holiday road | Matt Pond PA
(Winter songs, 2005)
Hanno un penchant più pop degli altri in questa lista, ma i suoni sono sempre quelli. Hanno avuto cambi di formazione, tra Philadelphia e Brooklyn. Il ritornello natalizio di “Holiday road” pare di conoscerlo da sempre: la canzone fu scritta e cantata da Lindsay Buckingham nel 1983, quando già stava nei Fleetwood Mac, e fu usata nel film National Lampoon’s Vacation.

Wood floors | Lisa Germano
(Slide, 1998)
Anche qui bisogna aspettare un minuto che passi il prologo e cominci la melodia celestiale, sempre arrangiata minimamente al pianoforte e dedicata a un parquet:
Pulled the rug, under me, and you set me free / Walk around, feel the floor, who could ask for more?
Un secondo passaggio indipendente di pianoforte compare a metà e alla fine della canzone, altrettanto bello.

You belong to me | Bob Dylan
(Natural born killers, 1994)
“See the pyramids along the Nile...”. L’aveva scritta Chilton Price nel 1952. L’ha cantata un sacco di gente, ma nessuno così bene come Bob Dylan nella colonna sonora di Natural born killers: nel cd è registrata con un dialogo del film sovrapposto alla coda. Il film è una baracconata retorica, ma la canzone è la fine del mondo.

Revelator | Gillian Welch
(Time (The revelator), 2001)
Per una nata a Manhattan, cresciuta a Los Angeles ed educata a Boston, c’è qualcosa di ribelle nel buttarsi sul folk e il country.

Who would know | Joe Henry
(Kindness of the world, 1993)
Siamo solo io e te, a chi vuoi che interessi chi ha ragione e chi torto?

Lion tamer | Damien Jurado
(On my way to absence, 2005)
Malgrado il suono più energico e allegro e il maggior frastuono, è una canzone triste anche questa, di separazione. Ma almeno non muore nessuno. È stupenda dove fa: “the gun in the drawer...” (oddio, una pistola: morirà qualcuno?).

California | Josh Ritter
(Hello starling, 2003)
Va fortissimo in Irlanda, ma viene dall’Idaho. La sua canzone più bella poi parla della California, l’ennesima, ma lui lo sa: “non dirmi che è un viaggio già fatto mille volte, perché questo è il mio”.

I love everybody | Lyle Lovett
(I love everybody, 1994)
“Io amo tutti quanti, e soprattutto te” è un verso geniale, malgrado i tentativi di rovinarlo enunciando poi come quarti di bue alcuni singoli elementi anatomici che ama di lei (senza mai entrare nello scabroso, peraltro). Coretto di Rickie Lee Jones e Julia Roberts, melodia appiccicosissima e ripetibile all’infinito: “so if you feel lonesome, remember it’s true, I love everybody especially you”.

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