Sing Sing

Cantare del piacere di cantare.

Sing | Travis
(The invisible band, 2001)
“For the love you bring, won’t mean a thing, unless you sing”. Non date mai retta a quelle zie che vi dicono “chi canta a tavola e fischia a letto è un matto perfetto”: sono vecchie zitelle stonate. I Travis sono di Glasgow, invece.

Sing | The Dresden Dolls
(Yes, Virginia, 2006)
I Dresden Dolls sono due, di Boston: lei canta e suona il piano, lui suona la batteria e quel che capita. Qui cantano delle virtù liberatorie del cantare, in un mondo che non ci vuole più: “c’è questa cosa che è come scopare, solo che non scopi. Una volta si faceva e basta: adesso tutta la storia del mondo sta sparendo. Ma c’è questa cosa che è come parlare solo che non parli.”.
You sing. You sing.
“Comunque la pensiate, noi ve l’abbiamo detto. E un giorno canterete, stronzi”.

Io canto | Riccardo Cocciante
(...E io canto, 1979)
Le mani in tasca, canto.

Singin’ in the rain | John Martyn
(Bless the weather, 1971)
Nella versione con i pizzichi sulla chitarra di un grande cantautore britannico.

Sing a song | Earth, Wind & Fire
(Gratitude, 1975)
“Quando ti senti giù, canta una canzone, e tutto andrà meglio”. Certo, dipende dalla canzone.

Sing for joy | Frank Black
(Honeycomb, 2005)
Anche Frank Black è di Boston, ma ha una carriera molto più lunga e illustre dei Dresden Dolls. Prima con i Pixies, poi da solo (un disco molto bello in particolare, Honeycomb). In “Sing for joy” la formula è usata con qualche sarcasmo, in mezzo a tragedie tremende, ma fate finta di niente, e canticchiate: “sing for joy...”.

Sing | Blur
(Leisure, 1991)
Canzone dalla storia agitata. Fu ripescata dal periodo pre-Blur della band, messa dentro al primo disco dei Blur – ignorato fuori dalla Gran Bretagna – e uscì come b-side del primo singolo. E quando ripubblicarono l’LP negli Stati Uniti, la tolsero. Poi ricomparve nella colonna sonora di Trainspotting. Se lo meritava, perché benché non succeda praticamente niente per cinque minuti scanditi da un pianoforte incessante e tramviario, ha un feeling particolare e arioso, ottima scelta per una colonna sonora.

I’ve got to sing my song | Oleta Adams
(Circle of one, 1990)
I Tears for fears vinsero Oleta e la sua voce alla lotteria, sentendola cantare in un bar di Kansas City, e se la portarono a casa a cantare con loro. Nel suo primo disco da sola, insieme a un’altra canzone bellissima – “Get here” – c’era “I’ve got to sing my song”.

Sing our own song | UB40
(Rat in the kitchen, 1986)
Canzoncina contro l’apartheid, ma troppo leggerina per il confronto con “Biko” e troppo prevedibile (“we fight for the right to be free”) per il confronto con la formidabile “Free Nelson Mandela” degli Specials.
Song sung blue | Neil Diamond
(Moods, 1972)
Gran successo di Neil Diamond, ispirato dal Secondo movimento del Concerto per piano #21 di Mozart.
Of thee I sing | Ella Fitzgerald
(Ella Fitzgerald sings the George and Ira Gershwin songbook Vol. 2, 1959)
Of thee I sing fu il primo musical a vincere un premio Pulitzer. Le canzoni erano dei fratelli Gershwin. Racconta di una campagna elettorale presidenziale la cui piattaforma politica è l’amore. “Thee” è la declinazione accusativa di “thou”, termine arcaico e poetico per “you”, seconda persona singolare.
Playlist


Brani citati