Burt to be alive

Ha un nome da scaricatore di porto e un cognome da filosofo tedesco (che è poi quello di una vecchia città sulle rive del Reno). Ma è un ebreo di Kansas City e l’unica cosa che non gli hanno cantato sono gli appunti della spesa, e forse anche quelli. Burt Bacharach, scrittore di canzoni.

This house is empty now | Elvis Costello
(Painted from memory, 1998)
A un certo punto della vita può ca- pitare di sentire Costello dal vivo cantare “This house is empty now” e capire che è una delle più belle e commoventi canzoni di separazione di sempre. Quelli in gamba lo capiscono anche prima. L’ha scritta con Bacharach, per il disco che fecero assieme, Painted from memory.

The look of love | Dusty Springfield
(The look of love, 1967)
La cosa più erotica che potesse essere cantata da una ragazza bianca e inglese nel 1967 stava nella colonna sonora di quella parodia di 007 con un supercast che si chiamava Casino Royale. È Bacharach-David pure questa, e non c’entra niente con la canzone omonima degli ABC di vent’anni dopo.

I say a little prayer | Aretha Franklin
(Aretha Now, 1968
Quale sia la routine mattutina di Aretha Franklin, lo sanno anche i sassi. Si sveglia, e mentre si alza – ancora prima di truccarsi – dice una piccola preghiera per te. Poi si pettina, decide cosa mettersi, e dice una piccola preghiera per te. La canzone in realtà è – figuriamoci – di Burt Bacharach. Ma malgrado le altre versioni, è di Aretha. Che ci mette la grandissima riaccelerazione dell’ultimo minuto.

What the world needs now is love | Jackie DeShannon
(What the world needs now is love, 1968)
Jackie DeShannon ha un curriculum impressionante da cantautrice (ha lavorato con Marianne Faithfull, Jimmy Page, Randy Newman, i Byrds, e “Bette Davis eyes” l’ha scritta lei) e una biografia notevole (una intensa frequentazione con Elvis, tra l’altro). Ma quello per cui restò celebre fino a oggi è questa zuccherosa e perfetta canzoncina di Bacharach e Hal David, incisa nel 1965.

Anyone who had a heart | Dionne Warwick
(Anyone who had a heart, 1964)
Una delle più lunghe e continue collaborazioni della carriera di Bacharach fu quella con Dionne Warwick. “Anyone who had a heart” è fantastica nel refrain, da quel “so!” in poi. In Inghilterra la cantò Cilla Black, ripetendo una consuetudine tipica degli anni Sessanta. Dionne a un certo punto si seccò: «se facessi un disco di starnuti, dopo un po’ lo farebbe anche lei».

I’ll never fall in love again | Deacon Blue
(Four Bacharach & David songs, EP, 1990)
Un superclassico di Burt Bacharach e Hal David, cantato piano piano e con infinita dolcezza da Ricky Ross, mentre la parte di Lorraine McIntosh non è risolta altrettanto bene. È quella che dice “chi me lo fa fare, sono solo dolori, guai e seccature”, e quindi “non mi innamoro più” (con questo titolo fu cantata in italiano da Johnny Dorelli e Catherine Spaak, in modo dimenticabile).

Painted from memory | Bill Frisell e Cassandra Wilson
(Painted from memory, 1998)
Fu scritta insieme a Elvis Costello per il disco che i due fecero insieme nel 1988, che ne prese il nome. Il chitarrista Bill Frisell incise una raccolta delle stesse canzoni, chiamando su “Painted from memory” Cassandra Wilson, cantautrice del Mississippi di grande voce, che non ha mai deciso se buttarsi sul jazz o sul pop.

I just don’t know what to do with myself | The White Stripes
(Elephant, 2003)
Una delle più belle canzoni di Burt Bacharach, fu raccolta dai White Stripes con lo snobismo artistico tipico della band: la riarrangiarono rock, lui gridacchia un po’ troppo, ma sulla strofa non può che disciplinarsi all’originale. Il video fu diretto da Sofia Coppola (e c’era Kate Moss). Molte altre cover all’altezza, tra cui quelle di Elvis Costello e di Dusty Springfield.

Go ask Shakespeare | Burt Bacharach
(At this time, 2005)
Nel 2005 Bacharach riapparve con un disco a suo nome, assai particolare. Un disco molto avanti, o molto indietro, con lunghe parti strumentali: pieno di suoni lounge anni Sessanta ed elettronica, ma naturalmente ricco di melodie orecchiabilissime, e con collaboratori illustri. Il singolo, “Go ask Shakespeare” ha un lungo loop strumentale e ipnotico, e poi canta Rufus Wainwright. Non una cosa qualsiasi, soprattutto per uno che ha ottant’anni.

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