Post-rock

Quando sento l’espressione “post-qualcosa” metto mano alla pistola: i coniatori di etichette avrebbero chiamato il gotico “post-romanico”. Ma almeno il post-rock si riferisce a un genere concreto, a differenza di altre categorie della critica prive di senso. Ci stanno dentro tutte quelle bands (il post-rock non è quasi mai roba da vanitosi solisti) che dagli anni Novanta hanno infilato sperimentazioni orchestrali e ritmi più lenti nei suoni tipici del rock.

I believe in you | Talk Talk
(Spirit of Eden, 1988)
Spirit of Eden è un capolavoro, una specie di disco dei vecchi Pink Floyd, un impazzimento dolcissimo di suoni, pezzetti, eccitazioni: un annuncio del genere chiamato post-rock che doveva ancora venire. “I believe in you” (o hanno cambiato idea rispetto al disco precedente, o lei è un’altra: o non è una lei) contiene gli elementi melodici più efficaci del disco, e fu di malavoglia scelta dall’etichetta come singolo: una roba celestiale e psichedelica in cui Mark Hollis balbetta a lungo solo la parola “spirit” e qualche altro mormorio. Dopo, i Talk Talk pubblicheranno ancora un disco dello stesso andazzo, Laughing stock, e poi si scioglieranno. Mark Hollis procederà ancora oltre, da solo. Ma niente che si possa più esattamente definire “canzone”.

How animals move | John Parish
(How animals move, 2002)

Two rights make one wrong | Mogwai
(Rock action, 2001)
Brano strumentale di 9 minuti, con una vasta gamma di strumenti, che include chitarre, bassi, percussioni, ottoni e finanche un banjo. Contiene anche parti vocali indecifrabili, ottenute attraverso un vocoder. Il titolo rovescia il già illogico detto “due-cose-sbagliate-ne-fanno-una giusta” e, come spesso capita per Mogwai, non ha nulla a che fare con il brano stesso.

Static - Atomic clock | Godspeed you black emperor!
(Lift your skinny fists like antennas to heaven, 2001)

God bless our dead marines | Silver Mt. Zion
(Horses in the sky, 2005)

You and whose army? | Radiohead
(Amnesiac, 2001)
“Come on, come on...”. Chitarra, e voce dall’oltretomba: poi arriva il resto della band, e la voce sprofonda ancora. “Stanotte cavalchiamo cavalli fantasma”.

Svefn-g-englar | Sigur Rós
(Àgaetis byrjun, 1999)
Dieci minuti di progressione lentissima e spettacolare. Non succede quasi niente, salvo lo snodo da dove comincia la nuova ripetizione (quella specie di “tiùù”). Anche questa fu usata nella colonna sonora di Vanilla sky.

I’ve got designs on you | 90 Day Men
(To everybody, 2002)

Twentytwofourteen | The Album Leaf
(In a safe place, 2004)
Monumento al minimalismo. Perfetta, niente da aggiungere, qualsiasi barocchismo cade sconfitto di fronte a questa canzone, riuscito connubio laptop+vibrafono.

Holes | Mercury Rev
(Deserter’s songs, 1998)
Sì, sembra parente di “Refugees” dei Van der Graaf Generator, solo che loro sono di Buffalo, New York, e questa canzone è uscita che i Van der Graaf Generator erano sciolti da venticinque anni. Una cosa celestiale, angelica, lo hanno chiamato “dream pop”.

Dayvan cowboy | Boards of Canada
(The campfire headphase, 2005)

Saint Marie | Piano Magic
(The troubled sleep of Piano magic, 2003)

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