Black Music

La musica nera, la puoi fare in un sacco di modi, e le rimane sempre addosso qualcosa di nero.

Only the strong survive | Jerry Butler
(The iceman cometh, 1968)
Mammà lo diceva sempre: “sopravvivono solo i più forti”. Lui lo chiamavano “Ice man”, da quella volta che saltò l’impianto a teatro e continuò a cantare come se niente fosse. La canzone diede il nome a un bellissimo documentario sulla Stax Records di Memphis nell’epoca d’oro del soul.

Keep on movin’ | Soul II Soul
(Keep on movin’, 1989)
Il disco dei Soul II Soul (si dice “soul to soul”), band londinese che girava intorno al deejay Jazzie B, segnalò che stavano finendo gli anni Ottanta e che qualcosa di nuovo stava arrivando nel mondo della dance e del “clubbing”. Nelle discoteche le cose sarebbero diventate meno melodiche di lì a poco, ma il passo di “Keep on movin’” fu un modello per anni: “yellowisthecolourofsunrays...".

I don’t want to see myself (without you) | Terry Callier
(1983)
Callier è un chitarrista di Chicago, che fece belle cose tra il folk e il jazz, non sfondò mai, e quando dovette occuparsi di sua figlia smise di suonare e si trovò un lavoro all’università. Poi all’inizio degli anni Novanta alcuni suoi vecchi pezzi vennero riscoperti da un deejay inglese e circolarono nelle discoteche. Lo chiamarono da Londra, e gli chiesero di ripubblicare “I don’t want to see myself”: una delle sue ultime cose prima di ritirarsi. Andò forte, lui riprese a fare dischi, e l’università lo licenziò.

Have you seen her | Chi-Lites
([For God’s sake] give more power to the people, 1971)
Coretti epocali che suonavano retrò già allora: era il 1971. Loro erano di Chicago.

Rapper’s delight | Sugarhill Gang
(1979)
Il primo successo rap della storia resta praticamente irraggiungibile. Un primato che nacque quasi per caso, costruito sulla base di “Good times” degli Chic di Nile Rodgers, con un parto mai chiarito esattamente.

Gee whiz, look at his eyes | Carla Thomas
(Gee whiz, 1961)
Pioggia di petali di rosa, vecchie cadillac turchese che girano al rallentatore, frullati di fragola e vialetti del garage. Il primo grande successo della Stax Records, nel 1961. Lei era figlia di un’altra leggenda del soul, Rufus Thomas.

The first time ever I saw your face | Roberta Flack
(First take, 1970)
Poi dite che mangiavano i bambini: una delle più belle canzoni d’amore di sempre l’ha scritta un comunista inglese di genitori scozzesi, Ewan McColl, attore, scrittore e musicista (autore anche di “Dirty old town” che poi fu cantata dai Pogues). Sua figlia Kirsty McColl fu poi autrice e cantante, prima di morire a quarant’anni in un incidente in mare. Nella versione di Roberta Flack, “The first time ever I saw your face” rimase al numero uno in America per sei settimane, dopo essere stata usata nel primo film di Clint Eastwood Brivido nella notte.

Secretly | Skunk Anansie
(Post orgasmic chill, 1999)
Gli Skunk Anansie sembrarono brevemente una delle novità più interessanti del rock-pop, con quella cantante nera, Skin, piccola e incazzata. Poi sparirono nel nulla, e lei cercò di arrangiarsi da sola, senza gran costrutto. In “Secretly” era bravissima (con gli avverbi, andava forte: l’altra bella canzone si chiama “Lately”).

Where’s life | Keziah Jones
(Blufunk is a fact!, 1992)
Il padre di Keziah era un ricco imprenditore nigeriano che si poté permettere di mandarlo a studiare a Londra perché gestisse il patrimonio di famiglia. Keziah mollò la scuola, divenne un chitarrista formidabile e si mise a suonare per le strade e i locali d’Europa. Qualcuno si accorse di com’era bravo con uno stile funkeggiante tutto suo, e da allora incide dischi. “Where’s life” – dal suo primo disco del 1992 – ha un attacco e un ritmo da risvegliare un morto.

People get ready | The Impressions
(People get ready, 1965)
Quando Jerry Butler lasciò gli Impressions, il posto di cantante lo prese Curtis Mayfield. Nel 1965 Mayfield scrisse una celeberrima ballata sui tempi da cambiare, “People get ready”: poi si mise in proprio e diventò una leggenda della musica nera e impegnata.

Wake up everybody | Harold Melvin and the Blue Notes
(Wake up everybody, 1975)
Stesso messaggio di “People get ready”, dieci anni dopo. Il cantante della band era Teddy Pendergrass, che poi se ne andò perché il fondatore Harold Melvin non voleva cedergli il posto nel nome della band.

Feeling good | Nina Simone
(I put a spell on you, 1965)
L’avevano scritta i due inglesi autori di “Goldfinger” e di “What kind of fool am I” (uno è stato marito di Joan Collins, per una decina di minuti). La versione di Nina Simone è stupenda, perché mentre dice della nuova vita che l’attende, sembra vada a un funerale. Forse tutto si spiega.

What a diff’rence a day made | Dinah Washington
(What a diff’rence a day makes!, 1959)
Alle volte un giorno... Dinah Washington, “la regina del blues” morì a 39 anni per un’overdose di pillole dietetiche e alcool, dopo sette matrimoni. “What a diff’rence a day made” l’aveva scritta una compositrice spagnola, Maria Grever, e il testo inglese è di Stanley Adams. Dinah Washington ci vinse un Grammy nel 1959. Ce ne sono molte cover (ed equivoci nel titolo tra “makes” e “made”), e una famosa versione disco di Esther Philips.

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