The Beatles

(1960 -1970, Liverpool, Inghilterra)

E che, vuoi fare la playlist dei Beatles? Sei scemo? E quante ne metti, settantuno? Beh, metti che questo libro capita in mano a uno giovane, giovane giovane, hai visto mai che serva anche la playlist dei Beatles... (I Beatles, caro figliuolo, sono stati i più grandi scrittori ed esecutori di canzoni della storia: erano quattro, poi a uno gli hanno sparato sotto casa e un altro è morto di malattia. Erano bravi, dammi retta.)

All my loving
(With the Beatles, 1963)
La prima canzone che eseguirono all’Ed Sullivan Show, da dove cominciarono la conquista dell’America. Un grandissimo giro di chitarra e un ritmo sensazionale. E le parole vanno via come bocce da bowling sulla pista.

I want to hold your hand
(1963)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #16 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

She loves you
(1963)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #64 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Do you want to know a secret
(Please please me, 1963)
È come George Harrison dice “closer”. È come dice “not to tèll”. È come dice “I’m in love with iù!”. Era il loro primo LP, ed erano già la più grande band della storia.

I saw her standing there
(Please please me, 1963)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #139 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Please please me
(Please please me, 1963)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #184 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

A hard day’s night
(A hard day’s night, 1964)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #153 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Can’t buy me love
(A hard day’s night, 1964)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #289 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Any time at all
(A hard day’s night, 1964)
Parte con il ritornello secco, e poi attacca la strofa, di cui suona per contrasto la perfezione: “if you need somebody to love...”. Un bel pezzo rock dei Beatles.

Help!
(Help!, 1965)
“Quando ero giovane, molto più giovane di oggi, non avevo bisogno dell’aiuto di nessuno, mai.” Avete mai provato a ballarla, “Help”? Funziona benissimo. “Ma ora le cose sono cambiate, e non mi sento più così sicuro. Puoi per favore – per favore – aiutarmi?”

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #29 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Yesterday
(Help!, 1965)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #13 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Ticket to ride
(Help!, 1965)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #384 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

We can work it out
(1965)
Nel 1970 Stevie Wonder fece una bella cover di questo brano.

In my life
(Rubber soul, 1965)
Domandarono a Lennon perché non parlava di sé nelle sue canzoni e lui invece di rispondere “saranno anche fatti miei” – era uno gentile – scrisse questa. Paul McCartney sostiene che la musica l’ha scritta lui, ma c’è una controversia annosa. Qualche anno fa la rivista inglese Mojo la nominò la migliore canzone di tutti i tempi. Parere condivisibile. C’è dentro tutto, e un primo verso fenomenale: “derarpleisisàirimèmber...”.

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #23 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Norwegian wood (This bird has flown)
(Rubber soul, 1965)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #83 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Rain
(1966)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #463 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Here, there and everywhere
(Revolver, 1966)
“To lead a better life...” Ogni tanto ci troviamo ad ascoltare “Wonderwall” degli Oasis e a dire che perfetta canzone pop sia. Ma tutto era già successo. Arrampicato sui falsetti, McCartney raccontò poi di aver cercato di imitare Marianne Faithfull.

For no one
(Revolver, 1966)
“For no one” forse è la più bella ballata di Paul McCartney con i Beatles. Dedicata alla ex fidanzata Jane Asher, lui dice di averla scritta nel bagno di un hotel sulle Alpi svizzere (ma uno che scriva una canzone alla scrivania in ufficio, dopo la pausa pranzo, mai?). Fu incisa senza John Lennon e George Harrison.

Eleanor Rigby
(Revolver, 1966)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #137 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Hello, goodbye
(Magical mystery tour, 1967)

I don’t know why you say goodbye, I say hello

Strawberry fields forever
(Magical mystery tour, 1967)
Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #76 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Penny Lane
(Magical mystery tour, 1967)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #449 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

All you need is love
(Magical mystery tour, 1967)
Una canzone che non è stata messa in ginocchio nemmeno da una delle peggiori e più celebri trasmissioni della tv commerciale italiana, può resistere a tutto. L’amore di cui si parla è una roba universale, da Estate dell’amore hippie: nessuna indulgenza in sentimentalismi di coppia e il senso dell’umorismo giusto per infilarci gli ottoni, la Marsigliese, e il giro di giostra conclusivo, con autocitazioni (“She loves yeah, yeah, yeah, yeah”, “Yesterday”).


Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #362 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

With a little help from my friends
(Sgt. Pepper’s lonely hearts club band, 1967)
A Ringo Starr non gli facevano fare quasi mai niente, ma quando lo chiamavano era per cose speciali. Questa la cantò lui, e divenne poi doppiamente famosa nella roca e appassionata versione di Joe Cocker, uno dei momentoni del concerto di Woodstock. Ringo chiese che il verso iniziale fosse cambiato e divenisse: “cosa fareste se cantassi stonato, vi alzereste e ve ne andreste?”. L’originale – “mi tirereste dei pomodori?” – gli sembrava rischioso per le esecuzioni dal vivo.

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #304 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

A day in the life
(Sgt. Pepper’s lonely hearts club band, 1967)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #26 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Sgt. Pepper’s lonely hearts club band
(1967)


Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band è il più importante album di rock & roll mai realizzato, un disco senza paragoni per concezione, suono, composizione, grafica di copertina e tecnologia di studio da parte del più grande gruppo pop di ogni tempo. Dalle regali esplosioni di ottoni e dalla chitarra distorta della canzone che lo intitola, allo stacco orchestrale e al lungo, agonizzante accordo di piano alla fine di "A Day in the Life", i 13 pezzi di questo album segnano l'apice degli otto anni dei Beatles come artisti in sala d'incisione. John, Paul, George e Ringo non furono mai più tanto intrepidi e uniti nella loro ricerca di magia e trascendenza. Pubblicato in Gran Bretagna il 1° Giugno 1967 e negli U.S.A. il giorno dopo, Sgt. Pepper è la dichiarazione definitiva di cambiamento del rock.



Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #1 della classifica 500 Greatest Albums of All Time.

Happiness is a warm gun
(White album, 1968)
Checché si dica di Sergeant Pepper, è White Album il disco che ospita il maggior numero di creazioni e idee dei Beatles (era doppio, bella forza). In una sola canzone, ce ne stanno tre o quattro, come in questo caso: la parte centrale è quella in cui Lennon recita appassionato il suo amore per la rivoltella.
La canzone ironizzava sulla passione degli americani per le armi, ed ebbe – come si sa – un tragico completamento; ma c’è dentro anche una palese metafora sessuale, e un sospetto richiamo all’uso di eroina (“I need a fix ’cause I’m goin’ down”).

I’m so tired
(White album, 1968)
Inno degli assonnati (gemella di “I’m only sleeping”), Lennon la scrisse alle tre del mattino in India, sfinito da una maratona di meditazione. Passa perfettamente dalla fase sonnolenta e languida all’eccitazione nervosa dell’insonne che darebbe qualsiasi cosa per un po’ di riposo.
(In conclusione, c’è uno dei noti passaggi che suonati al contrario direbbero cose rivelatrici e sataniche. In questo caso: “Paul is a dead man, miss him, miss him, miss him”).

Good night
(White album, 1968)
Ninnanannona che conclude White Album, scritta da Lennon e cantata straordinariamente da Ringo Starr, assieme a un’orchestra. Gli altri Beatles dormivano.

While my guitar gently weeps
(White album, 1968)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #135 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Hey Jude
(1968)
Intitolata originariamente Hey Jules e rinominata in seguito "Hey Jude" per motivi fonetici, fu scritta da McCartney per confortare Julian, il figlio di Lennon, nel momento del divorzio tra il padre e Cynthia Powell.


Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #8 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Here comes the sun
(Abbey Road, 1969)
Più che un’ultima canzone dei Beatles, una prima canzone di George Harrison, allegra e leggera e appiccicosissima come le sue. E in effetti la scrisse per conto proprio, e all’incisione Lennon neanche partecipò. Harrison aveva già cominciato a lavorare con Eric Clapton (allora nei Cream), e insieme avevano scritto “Badge” , da una cui costola nacque “Here comes the sun”.

Come together
(Abbey Road, 1969)

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #202 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

Something
(Abbey Road, 1969)
George Harrison sapeva il fatto suo, o lo aveva imparato stando vicino a quegli altri due fenomeni. Ma siccome non se lo filavano mai, questa la pensò per Ray Charles e poi la propose a Joe Cocker. Niente. Andò a finire che la fecero i Beatles.
Se poi volete sapere chi ha scritto prima il verso “something in the way she moves” – Harrison o James Taylor – la risposta è Taylor: la sua canzone è di un anno prima, e uscì per la stessa etichetta dei Beatles.

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #273 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

She came in through the bathroom window
Golden slumbers
Carry that weight
(Abbey Road, 1969)
La successione di queste tre canzoni di McCartney in Abbey Road va considerata come un unico capolavoro di salti mortali melodici e riprese inattese. Dopo il racconto rock dell’incursione (vera) di una fan nel bagno di casa McCartney, la dolcezza e il soul di “Golden slumbers” sono una delle cose migliori e più commoventi che la band abbia fatto mai (le parole citano una poesia seicentesca di Thomas Dekker). “Carry that weight” riprende un’altra chicca del disco, “You never give me your money”.

The end
(Abbey Road, 1969)


Across the universe
(Let it be, 1970)
L’onomatopea più lunga della storia del pop, in cui le parole sembrano scorrere come gocce di pioggia infinita in un bicchiere di carta: “words-are-flowing-out-like-end- less-rain-into-a-paper-cup”.

Let it be
(Let it be, 1970)
Il McCartney perfetto. Tanto da lasciare abbastanza disgustato John Lennon. I biografi sostengono che scegliesse di riferire a un ideale socialista i versi più “religiosi” della canzone (“there will be an answer”). La voce femminile è di Linda McCartney. La band a questo punto era già spappolata ed era andata in studio per soddisfare le richieste contrattuali. La Mary di cui si parla, malgrado l’andamento salmodiante della canzone, non è la Vergine Maria ma la mamma di McCartney.

Nel 2004 la rivista Rolling Stone ha classificato questo brano al #20 della classifica 500 Greatest Songs of All Time.

The long and winding road
(Let it be, 1970)
Let it be fu l’ultimo disco dei Beatles, composto da cose registrate prima del precedente Abbey Road. Uscì che si erano già di fatto sciolti, molto rimaneggiato da Phil Spector a cui era stato affidato il materiale; e quando qualche anno fa uscirono le più scarne versioni originali i fans si divisero tra chi preferiva le une o le altre. Di certo, alcune ballate di McCartney non furono scritte con la mano sinistra di chi era alla fine di una storia. A cominciare da questa, che è facile legare alle vicissitudini della band e la cui pomposa orchestrazione spectoriana irritò molto l’autore. Spector si giustificò spiegando che nella versione originale Lennon al basso era impubblicabile. “Many times I’ve been alone...”.

Don’t let me down
(Hey Jude, 1970)
Registrata a quel giro lì, rimase fuori da Let it be per scelta di , e venne reintrodotta nella versione Naked pubblicata trent’anni dopo (intanto era uscita una raccolta). Un grande pezzo soul di Lennon, presagio delle passioni che avrebbero animato la sua successiva carriera da solista.


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