(1943, Poggio Bustone, Rieti – 1998, Milano)
Lucio Battisti è stato ed è il più grande di tutti nella musica pop italiana: nella musica “leggera”. Le ha provate tutte, e gli sono riuscite tutte. Si potrebbe riempire un juke-box solo con le sue canzoni migliori. Ed era così bravo da averci resi familiari e tollerabili anche dei versi che sarebbero stati imbarazzanti in bocca a chiunque altro. Adesso non c’è più.
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Lucio Battisti è stato ed è il più grande di tutti nella musica pop italiana: nella musica “leggera”. Le ha provate tutte, e gli sono riuscite tutte. Si potrebbe riempire un juke-box solo con le sue canzoni migliori. Ed era così bravo da averci resi familiari e tollerabili anche dei versi che sarebbero stati imbarazzanti in bocca a chiunque altro. Adesso non c’è più.
Per una lira
(Lucio Battisti, 1969)
Fu il primo 45 giri del nostro, di grande richiesta nel giro dei collezionisti (fu stampato in poche copie per dargli un contentino quando era ritenuto solo un buon autore per altre voci: i maggiori investimenti vennero spesi, per esempio, nell’esecuzione della stessa canzone da parte dei Ribelli). Ci sono già quelle trovate soul che avrebbe usato spesso negli anni a venire.
(Lucio Battisti, 1969)
Fu il primo 45 giri del nostro, di grande richiesta nel giro dei collezionisti (fu stampato in poche copie per dargli un contentino quando era ritenuto solo un buon autore per altre voci: i maggiori investimenti vennero spesi, per esempio, nell’esecuzione della stessa canzone da parte dei Ribelli). Ci sono già quelle trovate soul che avrebbe usato spesso negli anni a venire.
I giardini di marzo
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
In fondo all’anima c’è l’immensi, avevo sempre capito io da bambino, ligio agli schemi scolastici soggetto-verbo-complemento (o viceversa, in questo caso). Invece dice “cieli immensi”, come avevate capito benissimo voialtri saputoni.
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
In fondo all’anima c’è l’immensi, avevo sempre capito io da bambino, ligio agli schemi scolastici soggetto-verbo-complemento (o viceversa, in questo caso). Invece dice “cieli immensi”, come avevate capito benissimo voialtri saputoni.
E penso a te
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
Tra i molti talenti della coppia Mogol-Battisti, c’era una rara passione per la scrittura dei dialoghi. Pensate a “Fiori rosa, fiori di pesco”, a “Innocenti evasioni”, ad “Anche per te”, ad “Ami ancora Elisa” e a “Perché no”. “E penso a te” fu prima un trascurato b-side di Bruno Lauzi, e poi una trascurabile cover di Tanita Tikaram: in mezzo, questa straordinaria canzone d’amore, spiazzata dal leggendario “para-para-parappa-pa”, frutto dell’arrangiamento di Gian Piero Reverberi.
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
Tra i molti talenti della coppia Mogol-Battisti, c’era una rara passione per la scrittura dei dialoghi. Pensate a “Fiori rosa, fiori di pesco”, a “Innocenti evasioni”, ad “Anche per te”, ad “Ami ancora Elisa” e a “Perché no”. “E penso a te” fu prima un trascurato b-side di Bruno Lauzi, e poi una trascurabile cover di Tanita Tikaram: in mezzo, questa straordinaria canzone d’amore, spiazzata dal leggendario “para-para-parappa-pa”, frutto dell’arrangiamento di Gian Piero Reverberi.
La luce dell’est
(Il mio canto libero, 1972)
Malgrado il titolo evochi il sol dell’avvenire (anche nel “sole rosso acceso”), lei resta al suo posto oltre cortina – con tanto di “colpo di fucile” – e anche questa canzone divenne un indizio a carico delle presunte ispirazioni di destra di Battisti (insieme al “bosco di braccia tese” in “La collina dei ciliegi”).
(Il mio canto libero, 1972)
Malgrado il titolo evochi il sol dell’avvenire (anche nel “sole rosso acceso”), lei resta al suo posto oltre cortina – con tanto di “colpo di fucile” – e anche questa canzone divenne un indizio a carico delle presunte ispirazioni di destra di Battisti (insieme al “bosco di braccia tese” in “La collina dei ciliegi”).
Vento nel vento
(Il mio canto libero, 1972)
Con quell’inusuale attacco di pianoforte, è una delle canzoni più amate dai fans di Battisti. Il passaggio orchestrale è stato poi ripreso da De Gregori in “La leva calcistica della classe ’68”. Alla prima puntata di ogni anno, certi conduttori radiofonici sono soliti dedicare ai tecnici il verso “e la stagione nuova, dietro al vetro...”.
(Il mio canto libero, 1972)
Con quell’inusuale attacco di pianoforte, è una delle canzoni più amate dai fans di Battisti. Il passaggio orchestrale è stato poi ripreso da De Gregori in “La leva calcistica della classe ’68”. Alla prima puntata di ogni anno, certi conduttori radiofonici sono soliti dedicare ai tecnici il verso “e la stagione nuova, dietro al vetro...”.
Il nostro caro angelo
(Il nostro caro angelo, 1973)
Introduzione eccezionale, col giro di chitarra che ha un ritmo paragonabile solo a quello di “Bittersweet” degli Everything but the Girl. Non si è mai chiarito se l’angelo del titolo alludesse anche al neonato Luca Battisti.
(Il nostro caro angelo, 1973)
Introduzione eccezionale, col giro di chitarra che ha un ritmo paragonabile solo a quello di “Bittersweet” degli Everything but the Girl. Non si è mai chiarito se l’angelo del titolo alludesse anche al neonato Luca Battisti.
Abbracciala abbracciali abbracciati
(Anima latina, 1974)
Una di quelle matasse fantastiche di suoni che si inventava Battisti. Mentre il testo suscita della solidarietà nei confronti delle sue amanti: doveva essere uno che si fermava spesso a chiacchierare, sul più bello.
(Anima latina, 1974)
Una di quelle matasse fantastiche di suoni che si inventava Battisti. Mentre il testo suscita della solidarietà nei confronti delle sue amanti: doveva essere uno che si fermava spesso a chiacchierare, sul più bello.
Due mondi
(Anima latina, 1974)
Grande invenzione musicale, cantata con Mara Cubeddu (già dei Flora, fauna e cemento e dei Daniel Sentacruz Ensemble, quelli di “Soleado”), che non è che se la cavi benissimo, ma alla fine il tutto funziona e ha un gran ritmo. Uno dei primi pezzi modernamente ballabili di Battisti: in coda al disco Anima latina ce n’era anche una ripresa lenta, da un minuto.
(Anima latina, 1974)
Grande invenzione musicale, cantata con Mara Cubeddu (già dei Flora, fauna e cemento e dei Daniel Sentacruz Ensemble, quelli di “Soleado”), che non è che se la cavi benissimo, ma alla fine il tutto funziona e ha un gran ritmo. Uno dei primi pezzi modernamente ballabili di Battisti: in coda al disco Anima latina ce n’era anche una ripresa lenta, da un minuto.
La compagnia
(La batteria, il contrabbasso, eccetera, 1976)
Una rarità: non è una canzone di Battisti, né scritta da lui né scritta per lui. Mogol l’aveva data a Marisa Sannia nel 1969. Poi è diventata di Battisti, che aveva un debole per il soul ancora nel 1976 e che qui si scatena in un falsetto memorabile.
(La batteria, il contrabbasso, eccetera, 1976)
Una rarità: non è una canzone di Battisti, né scritta da lui né scritta per lui. Mogol l’aveva data a Marisa Sannia nel 1969. Poi è diventata di Battisti, che aveva un debole per il soul ancora nel 1976 e che qui si scatena in un falsetto memorabile.
Ami ancora Elisa
(Io tu noi tutti, 1977)
“Adesso son tranquillo, come un’anatra sul lago”. Chi è questa Elisa? Si era parlato di Francesca (ma non era lei), si era voluto Anna. Ma Elisa? E comunque, quando uno insiste così tanto per convincerti che non ama più Elisa, qualche dubbio ti viene.
(Io tu noi tutti, 1977)
“Adesso son tranquillo, come un’anatra sul lago”. Chi è questa Elisa? Si era parlato di Francesca (ma non era lei), si era voluto Anna. Ma Elisa? E comunque, quando uno insiste così tanto per convincerti che non ama più Elisa, qualche dubbio ti viene.
Ho un anno di più
(Io tu noi tutti, 1977)
Prima o poi tutti si sono sentiti così, invecchiati, serenamente disincantati, e con qualche rimpianto sentimentale. Di solito succede nel giorno del compleanno. L’importante è avere un amico che non vi restituisca le chiavi della macchina né il telefonino fino a che non vi è passata la sbronza.
(Io tu noi tutti, 1977)
Prima o poi tutti si sono sentiti così, invecchiati, serenamente disincantati, e con qualche rimpianto sentimentale. Di solito succede nel giorno del compleanno. L’importante è avere un amico che non vi restituisca le chiavi della macchina né il telefonino fino a che non vi è passata la sbronza.
Neanche un minuto di "non amore"
(Io tu noi tutti, 1977)
Ci sono i cultori dei vari periodi di Battisti, che discutono all’infinito su quale sia stato il più eccelso. Qui si pensa che il disco che si chiamò Io tu noi tutti sia quello con più grandi canzoni di tutta la sua carriera. Questa è un racconto stupendo di pochi minuti di incomprensione sentimentale, paura e sollievo a sfondo automobilistico (sfondo più diffusamente trattato in “Sì, viaggiare”, nello stesso disco).
(Io tu noi tutti, 1977)
Ci sono i cultori dei vari periodi di Battisti, che discutono all’infinito su quale sia stato il più eccelso. Qui si pensa che il disco che si chiamò Io tu noi tutti sia quello con più grandi canzoni di tutta la sua carriera. Questa è un racconto stupendo di pochi minuti di incomprensione sentimentale, paura e sollievo a sfondo automobilistico (sfondo più diffusamente trattato in “Sì, viaggiare”, nello stesso disco).
Questione di cellule
(Io tu noi tutti, 1977)
Nella longeva partita tra codardi sostenitori dell’alibi genetico o dell’ineluttabilità del fato e sfrontati individualisti che si illudono di forgiare il proprio destino, Battisti stava coi secondi: “e no, e no, non è questione di cellule, ma della scelta che si fa, la mia è di non vivere a metà”.
(Io tu noi tutti, 1977)
Nella longeva partita tra codardi sostenitori dell’alibi genetico o dell’ineluttabilità del fato e sfrontati individualisti che si illudono di forgiare il proprio destino, Battisti stava coi secondi: “e no, e no, non è questione di cellule, ma della scelta che si fa, la mia è di non vivere a metà”.
Amarsi un po’
(Io tu noi tutti, 1977)
“Però volersi bene no, partecipare, è difficile, quasi come volare”. Ancora sulla maturità sentimentale. Fu il 45 giri più venduto del 1977 (aveva sul retro “Sì, viaggiare”).
(Io tu noi tutti, 1977)
“Però volersi bene no, partecipare, è difficile, quasi come volare”. Ancora sulla maturità sentimentale. Fu il 45 giri più venduto del 1977 (aveva sul retro “Sì, viaggiare”).
Con il nastro rosa
(Una giornata uggiosa, 1980)
Forse solo Nanni Moretti ha impiantato nella cultura popolare italiana altrettante espressioni divenute quotidiane. Di Battisti se ne potrebbero citare decine, ma “lo scopriremo solo vivendo”, celebrata dalla Gialappa’s, la usano ormai anche i bambini delle elementari quando gli chiedi se hanno fatto i compiti.
(Una giornata uggiosa, 1980)
Forse solo Nanni Moretti ha impiantato nella cultura popolare italiana altrettante espressioni divenute quotidiane. Di Battisti se ne potrebbero citare decine, ma “lo scopriremo solo vivendo”, celebrata dalla Gialappa’s, la usano ormai anche i bambini delle elementari quando gli chiedi se hanno fatto i compiti.
Fiori rosa, fiori di pesco
(Emozioni, 1970)
Insomma, è una sera di primavera e questo giovanotto non riesce a prender sonno e così si aggira per la città e finisce sotto il portone della sua ex. Si sono lasciati un anno prima, ma lui ancora non ne è rassegnato. La pensa. Non dorme. Sai che faccio? Suono e le faccio un’improvvisata. Suona, lei tentenna, lui insiste, lei apre. Lui sale, e la passione contenuta in un anno scoppia in una dichiarazione commossa e conquistatrice, di quelle che ci è capitato a tutti e che anche se con le parole eravamo molto più schiappe, ci convincevamo in quel momento che lei non avrebbe potuto resistere, che tutto era come prima, che ora che eravamo di nuovo assieme eccetera. Insomma, le dice così: «Solo, credevo di volare e non volo, credevo che l’azzurro di due occhi per me, fosse sempre cielo, non è: fosse sempre cielo, non è». E “solo, credevo di volare e non volo” è un capolavoro sentimental-fonetico unico.
Comunque: sempre più certo che tutto sia all’improvviso tornato com’era, le dice: «Posso stringerti le mani? Come sono fredde, tu tremi. No, non sto sbagliando: mi ami. Dimmi che è vero, dimmi che non siamo stati mai lontani, dimmi che è vero, che ieri era oggi, e che oggi è già domani, dimmi che è vero». Le dice così.
Adesso, molti di voi avranno già capito come va a finire. L’avete già sentita. Ma fate finta di no, anche voi. Fate finta di essere lì, in ginocchio e in lacrime di gioia, posseduti dal pensiero di un futuro felice, che vi pare che petali di rosa cadano dal cielo e scemenze così. State facendo finta? Bene. Fermi lì.
Si apre una porta, probabilmente una porta che conoscete, che avete aperto molte volte: nel peggiore dei casi la porta della camera da letto. E appare un uomo, un uomo che non conoscete: nel peggiore dei casi in accappatoio (nel peggiore dei casi un accappatoio che conoscete).
E allora: «Scusa, credevo proprio che fossi sola. Credevo non ci fosse nessuno con te. Scusami tanto, se puoi». Che vergogna. Ma il peggio deve venire: «Signore chiedo scusa anche a lei, ma io ero proprio fuo- ri di me. Io ero proprio fuori di me quando dicevo: posso stringerti le mani, come sono fredde, tu tremi, no, non sto sbagliando mi ami, dimmi che è vero».
Signore-chiedo-scusa-anche-a-lei. Allora, non so se avete presente “Ritornerai” di Bruno Lauzi. È una canzone molto bella, ma imbarazzante perché si capisce che lei col cavolo che ritornerà, e si immaginano anche i posti dove possa invece essere. E l’immagine di Bruno Lauzi che la convince a tornare non è credibilissima. Insomma è triste, e uno si commuove e sta male per lui. “Fiori rosa, fiori di pesco” è diverso: uno sta male per tutti gli uomini del mondo.
(Emozioni, 1970)
Insomma, è una sera di primavera e questo giovanotto non riesce a prender sonno e così si aggira per la città e finisce sotto il portone della sua ex. Si sono lasciati un anno prima, ma lui ancora non ne è rassegnato. La pensa. Non dorme. Sai che faccio? Suono e le faccio un’improvvisata. Suona, lei tentenna, lui insiste, lei apre. Lui sale, e la passione contenuta in un anno scoppia in una dichiarazione commossa e conquistatrice, di quelle che ci è capitato a tutti e che anche se con le parole eravamo molto più schiappe, ci convincevamo in quel momento che lei non avrebbe potuto resistere, che tutto era come prima, che ora che eravamo di nuovo assieme eccetera. Insomma, le dice così: «Solo, credevo di volare e non volo, credevo che l’azzurro di due occhi per me, fosse sempre cielo, non è: fosse sempre cielo, non è». E “solo, credevo di volare e non volo” è un capolavoro sentimental-fonetico unico.
Comunque: sempre più certo che tutto sia all’improvviso tornato com’era, le dice: «Posso stringerti le mani? Come sono fredde, tu tremi. No, non sto sbagliando: mi ami. Dimmi che è vero, dimmi che non siamo stati mai lontani, dimmi che è vero, che ieri era oggi, e che oggi è già domani, dimmi che è vero». Le dice così.
Adesso, molti di voi avranno già capito come va a finire. L’avete già sentita. Ma fate finta di no, anche voi. Fate finta di essere lì, in ginocchio e in lacrime di gioia, posseduti dal pensiero di un futuro felice, che vi pare che petali di rosa cadano dal cielo e scemenze così. State facendo finta? Bene. Fermi lì.
Si apre una porta, probabilmente una porta che conoscete, che avete aperto molte volte: nel peggiore dei casi la porta della camera da letto. E appare un uomo, un uomo che non conoscete: nel peggiore dei casi in accappatoio (nel peggiore dei casi un accappatoio che conoscete).
E allora: «Scusa, credevo proprio che fossi sola. Credevo non ci fosse nessuno con te. Scusami tanto, se puoi». Che vergogna. Ma il peggio deve venire: «Signore chiedo scusa anche a lei, ma io ero proprio fuo- ri di me. Io ero proprio fuori di me quando dicevo: posso stringerti le mani, come sono fredde, tu tremi, no, non sto sbagliando mi ami, dimmi che è vero».
Signore-chiedo-scusa-anche-a-lei. Allora, non so se avete presente “Ritornerai” di Bruno Lauzi. È una canzone molto bella, ma imbarazzante perché si capisce che lei col cavolo che ritornerà, e si immaginano anche i posti dove possa invece essere. E l’immagine di Bruno Lauzi che la convince a tornare non è credibilissima. Insomma è triste, e uno si commuove e sta male per lui. “Fiori rosa, fiori di pesco” è diverso: uno sta male per tutti gli uomini del mondo.
Fatti un pianto
(Don Giovanni, 1986)
Era l’inizio della fertile nuova vita a cui Battisti venne restituito dopo il cambio in panchina: fuori Mogol, segue momentaneo e dimenticabile interregno della signora Battisti, e poi dentro Pasquale Panella, poeta e ardito affastellatore di parole. Qui il suo repertorio di calembours è ben esposto, assieme all’invito liberatorio del titolo. Ed è un gran pezzo da ballare.
(Don Giovanni, 1986)
Era l’inizio della fertile nuova vita a cui Battisti venne restituito dopo il cambio in panchina: fuori Mogol, segue momentaneo e dimenticabile interregno della signora Battisti, e poi dentro Pasquale Panella, poeta e ardito affastellatore di parole. Qui il suo repertorio di calembours è ben esposto, assieme all’invito liberatorio del titolo. Ed è un gran pezzo da ballare.
Vendo casa
(Le avventure di Lucio Battisti e Mogol, 2004)
“Un panino, una birra, e poi...” Era stata scritta per i Dik Dik che la cantarono nel 1971. La coeva registrazione acustica di Battisti è stata pubblicata molti anni più tardi. La tematica del trasloco e soprattutto dell’operazione immobiliare sarebbe stata affrontata più tardi anche da Ivano Fossati in “E di nuovo cambio casa” (“vendo casa per un motore, la soluzione è la migliore”).
(Le avventure di Lucio Battisti e Mogol, 2004)
“Un panino, una birra, e poi...” Era stata scritta per i Dik Dik che la cantarono nel 1971. La coeva registrazione acustica di Battisti è stata pubblicata molti anni più tardi. La tematica del trasloco e soprattutto dell’operazione immobiliare sarebbe stata affrontata più tardi anche da Ivano Fossati in “E di nuovo cambio casa” (“vendo casa per un motore, la soluzione è la migliore”).
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