Ocean Colour Scene

(1989, Birmingham, Inghilterra)

Se gli Oasis fossero stati più creativi, sarebbero stati gli Ocean Colour Scene. Sono quattro (poi cinque, con qualche cambiamento), di Birmingham, forse la miglior band britannica ignorata dal mondo degli anni Novanta: grandi nelle ballate come nelle tirate rock, a metà tra i Beatles e Paul Weller, loro mentore.

The day we caught the train
(Moseley Shoals, 1996)
You and I should ride the tracks and find ourselves just wading through tomorrow.
Ingredienti beatlesiani e invenzioni rock in ugual misura, fu il loro singolo più popolare in Gran Bretagna, e arrivò al numero quattro in classifica. Di quelle canzoni con cui cominciare una giornata gasati: “When you find that things are getting wild, don’t you want days like these?”.

Lining your pockets
(Moseley Shoals, 1996)
Simon Fowler, cantante degli Ocean Colour Scene, in un momento soul in cui qualche critico ha sentito persino qualcosa di Randy Newman. E poi c’è il punto stupendo dove dice “all the things that I wanted....”.

Policemen and pirates
(Moseley Shoals, 1996)
But it doesn’t really matter when the judgements are said, ‘cause we all take our chances to find out romance is in some others bed
. Moseley Shoals, il secondo disco degli Ocean Colour Scene, è pieno di pezzi formidabili, e testi come questo, con tanto di Nerone e Ponzio Pilato.

The downstream
(Moseley Shoals, 1996)
Se faccio un film, ci metto questa canzone: nel momento in cui il protagonista è depresso per le cazzate che ha combinato e gli sembra che tutto sia perduto. Forse anzi finisce così, il film.

Better day
(Marchin’ already, 1997)
“Cosa mi aspetto dal tomorrow?” Bisogna avere sempre un po’ di diffidenza nei confronti delle accuse di plagio, che da un po’ di anni fioccano come funghi (crescono come api?). E allora, se è vero che la bella “Un giorno migliore” dei Lunapop comincia proprio identica a questa canzone degli Ocean Colour Scene, poi però il ritornello è diverso. E a leggere le note, “Un giorno migliore” risulta scritta da Cesare Cremonini, punto. Solo lui. C’è però un dettaglio che rende un po’ strana l’ipotesi della casualità: il titolo, della canzone.

< Hundred mile high city
(Marchin’ already, 1997)
Quando uscì Marchin’ already, scalzò dal primo posto in classifica il disco degli Oasis, Be here now. Noel Gallagher degli Oasis, che aveva sempre apprezzato gli Ocean Colour Scene (più tardi disse che avrebbe voluto aver scritto “Golden gate bridge”), mandò allora un elegante complimento alla band: una targa che diceva “Alla seconda miglior band della Gran Bretagna”. Intervistato sul gesto, Steve Cradock degli Ocean Colour Scene disse che riteneva un onore appartenere alla seconda band della Gran Bretagna, secondi solo ai Beatles.

Profit in peace
(One from the modern, 1999)
“Profit in peace” è un potente inno pacifista, che gira attorno al concetto semplicistico ma sempre fondato della guerra come mezzo di interessi economici, enumerando tutti quelli che “non vogliono combattere più”, ma che dovranno continuare a farlo perché “con la pace non si guadagna”.

Families
(One from the modern, 1999)
Del voler bene ai bambini, che poi loro si ricordano.

We made it more
(Mechanical wonder, 2001)
Lentone sentimentale, con gli archi, e il modo in cui lui va via lontano su “ain’t gonna make another play today...”.

Golden Gate bridge
(North Atlantic drift, 2003)
“And I really hope to have you all my life” è un verso fantastico, semplice e poetico insieme. Gli fa da contraltare l’auspicio simile ma più netto di celebrare assieme “un cinquantaduesimo anniversario”. Grande refrain, bisognerebbe esserci quando la cantano in uno stadio.

Free my name
(A hyperactive workout for the flying squad, 2005)
Un wall-of-sound da portare via tutta la baracca e far scendere la gente affacciata ai balconi, e fiati in abbondanza: il primo singolo dal disco del 2005 degli Ocean Colour Scene era ancora perfetto per alzarsi la mattina e andare a conquistare il mondo, là fuori.


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