Counting Crows

(1991, San Francisco, California, USA)

La migliore rock band americana degli anni Novanta: grandi ballate, voce inconfondibile, storie vere. Se poi ti interessa, Adam Duritz è stato fidanzato con mezzo cast femminile di Friends.

& Mr. Jones
(August and everything after, 1993)
Questa vale due. Nel senso che la versione dal vivo in Across a wire, lenta, acustica, tormentata, è quasi un’altra canzone, ed è bellissima. L’originale sta invece nel loro primo disco, arrivò al numero uno in America ed è rimasta la loro più famosa di sempre. A smentire le molte ardite ipotesi sull’identità di Mr. Jones, Adam Duritz ha raccontato una volta che si tratta del suo amico Marty Jones con cui una sera finirono in un bar a sentirsi troppo sfigati per rimorchiare due ragazze presenti.

A murder of one
(August and everything after, 1993)
“Inutile come contare i corvi” è un’espressione che viene da una vecchia superstizione, cantata qui: “I dreamt I saw you walking up a hillside in the snow, casting shadows on the winter sky as you stood there counting crows”. Da cui il nome della band. Questi versi e i successivi sono anche una delle cose più piacevolmente cantabili della storia del rock.

Rain King
(August and everything after, 1993)
“And I deserve a little more...” Roba da portarti via correndo. Il titolo viene da un libro di Saul Bellow. Sul doppio live citato ce ne sono due versioni, una meglio dell’altra.

A long December
(Recovering the satellites, 1996)
«A metà dicembre del ’95 la mia amica Jennifer fu investita da una macchina, spappolata; e io passai tutto il mese e la maggior parte dei successivi in ospedale, mentre cominciavamo a registrare il disco» racconta Adam Duritz.
La migliore delle ballate Counting Crows. Pianoforte e nana-nana. E una sensazione familiare di quei brutti periodi che dovranno pur passare, si tratti di ospedali o altro.

Walkaways
(Recovering the satellites, 1996)
“Devo correre via, disse”. Appena un minuto e dodici, perfetti, voce e chitarra. “Un giorno o l’altro mi fermo, ma non oggi”.

& Have you seen me lately?
(Recovering the satellites, 1996)
L’originale è solo uno strepitoso rockettone alla Counting Crows. La versione lenta in Across a wire è una delle cose più struggenti citate in tutto questo blog.

Chelsea
(Across a wire: live in New York, 1998)
È la “hidden track” in fondo al primo cd di Across a wire, pianoforte e fiati dei Soul Rebels di New Orleans. Bellissima.

Mrs. Potter’s lullaby
(This desert life, 1999)
“Se i sogni sono film, allora i ricordi sono film di fantasmi”. Un grande racconto, incalzante nel ritmo e nei testi e pieno di frasi perfette, che non indugia un attimo di troppo sul ritornello. Versioni non confermate sostengono parli dell’attrice Monica Potter.

I wish I was a girl
(This desert life, 1999)
L’idea di essere una ragazza è di solito praticata dagli uomini solo per battute da caserma o per commedie cinematografiche leggere. Invece Duritz: “vorrei essere una ragazza, così mi crederesti”. E poi, viene voglia di incontrare una Elizabeth, nella vita, per dirle “hey, Elizabeth, you know, I’m doin’ alright these days”.

Amy hit the atmosphere
(This desert life, 1999)
Ancora tra dolore e speranza, e quella grande capacità di Duritz di trascinare e legare le parole, farne una musica.

Colorblind
(This desert life, 1999)
Una canzone bella ma tristissima. Divenne celebre perché fu la colonna sonora del funerale del padre di Dawson in Dawson’s Creek. Già, quello che morì perché si era rovesciato addosso un gelato mentre guidava. Colorblind significa 'daltonico.

Holiday in Spain
(Hard candy, 2002)
Questa è bellissima. C’è stata questa festa di capodanno, e adesso è l’alba e se ne sono andati tutti lasciando la tv accesa; alcuni sono svenuti dietro un divano. Qualcuno si è fregato le mie scarpe, e non c’è più niente: restano un paio di banane e una bottiglia di birra. Se ci mettiamo ora di buona lena possiamo ripulire tutto prima di sera. Oppure sai che c’è? Freghiamocene e prendiamo un aereo per Barcellona, che è la fine del mondo.

Black and blue
(Hard candy, 2002)
C’è quel momento, quando dice “to fall down on your knees” che può essere meravigliosamente commovente o meravigliosamente tragico, a seconda se capite subito le parole o no.

Big yellow taxi
(Hard candy, 2002)
Vecchia fantastica canzone di Joni Mitchell, usata persino da Janet Jackson in un raro momento di illuminazione. Reincisa con la voce di Vanessa Carlton, andò molto forte anche tra il pubblico più giovane della media dei fans dei Counting Crows.


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